Ci sono parole che arrivano dritte al cuore, senza filtri.
Una cliente, dopo oltre trent’anni in una relazione, mi ha scritto:
“Mi trovo nel periodo più buio provato fino ad ora. Mi sento vuota, completamente senza vita. Sono giorni che non esco di casa, non ho voglia di prendermi cura di me. Vorrei solo farla finita, per far tacere questa sofferenza continua…”
Inizialmente, leggendo queste righe, ho sentito una stretta allo stomaco, ma, allo stesso tempo mi ha ricordato una cosa preziosa: anche nei momenti in cui tutto sembra perso, dentro ognuno di noi rimane una scintilla che non si spegne mai.
Spesso pensiamo di non avere scelta.
Restiamo imprigionati in ruoli, legami e situazioni che ci consumano, convinti che quella sia l’unica realtà possibile. Eppure, una domanda può aprire uno spiraglio.
La domanda che le ho fatto è stata:
👉 Vuoi distruggere e screare ovunque stai scegliendo di stare male, di essere vittima, di essere la sua vittima?
Una domanda semplice, senza risposta predefinita. Perché non esiste una risposta giusta, ma solo la possibilità di iniziare a vedere oltre la gabbia che ci costruiamo.
La verità è che siamo molto più grandi della nostra sofferenza.
Anche quando ci sentiamo nel “vuoto pneumatico”, il vuoto non è mai davvero vuoto: può essere lo spazio in cui far nascere qualcosa di nuovo, più autentico, più vicino a noi stessi.
Quanta magia ed espansione possiamo creare scegliendo di essere noi stessi, invece che restare intrappolati nel dolore?
Non è facile, non è immediato, ma tutto parte da una decisione interiore: smettere di essere vittima.
E se oggi non sai ancora come fare, puoi iniziare con un piccolo passo: farti una domanda.
Perché una domanda non ti dà una risposta, ma ti apre a possibilità infinite.
✨ Se senti che è il tuo momento di lasciare andare i pesi e aprirti a nuove possibilità, scrivimi per un appuntamento. Sarò felice di accoglierti nel mio studio Benessere e Relax – Il massaggio di Silvia.
Qui puoi ritrovare spazio, leggerezza e nuove domande che ti accompagnano verso te stessa.
Giulia si sedette sul mio divano. Il suo corpo rassegnato, spalle ricurve, sguardo vacuo puntato verso il basso.
Non ricordava l’ultima volta in cui aveva davvero respirato a pieni polmoni.
Non che le mancasse l’aria… ma da tempo le sembrava che il fiato le restasse in superficie, intrappolato tra gola e petto.
Più passava il tempo e più si sentiva stretta, limitata, inscatolata.
Comincia a raccontarsi.
Ogni giorno si alzava, indossava il suo sorriso “di circostanza” e andava avanti.
Era diventata brava a muoversi nella vita con il pilota automatico: lavoro, spesa, casa .. era come se il corpo e le gesta andassero da sé, senza la presenza del suo essere.
Nessuno vedeva davvero cosa accadeva dietro quella finestra invisibile, appannata dalla stanchezza, dalle paure, dalle maschere.
Le paure erano tante.
Alcune le conosceva bene — la paura di sbagliare, di essere giudicata, di non essere abbastanza — altre erano più sottili, solo percettibili, come ombre che scivolavano dentro di lei senza una precisa identità.
Ogni caduta sembrava più difficile della precedente, e ogni volta si rialzava con un po’ meno slancio, un po’ meno fiducia.
Poi, una sera, dopo l’ennesima giornata “di corsa” senza arrivare da nessuna parte, sentì un bisogno inspiegabile di fermarsi.
Non voleva parlare con nessuno, non voleva consigli, non voleva spiegare.
Voleva solo silenzio. Voleva solo stare.
Si sedette a terra, nel suo soggiorno, sul suo tappeto morbido ma allo stesso tempo scomodo e, scrollando distrattamente sul cellulare, quasi per caso, vide un mio annuncio e qualcosa la ispirò a venire da me, nel mio studio.
Il profumo leggero di oli essenziali la avvolse, e un lettino da massaggi posato al centro della stanza, sembrava invitarla a lasciarsi andare.
Mi guardò ed io la invitai ad accomodarsi.
Tutto era avvolto da una luce calda ed accogliente.
Cominciai a prendere contatto con lei, con le sue ferite, i suoi dolori, mentre le mie mani le sfioravano leggere la testa, come se accarezzassero fili invisibili ricchi di tensione.
Non capiva bene cosa stesse succedendo, ma dentro di lei qualcosa si stava allentando, si stava liberando, si stava muovendo.
Come se un mucchio di fili annodati da anni trovassero, uno dopo l’altro, il modo di sciogliersi e ritrovare la loro posizione.
All’inizio i pensieri correvano veloci poi, pian piano, si fecero più lenti.
Non era magia nel senso spettacolare… ma era magia nel senso più intimo e reale: un corpo che finalmente si concede di mollare la presa, di abbassare le barriere e di ricevere.
Nei giorni successivi al trattamento, iniziò a notare piccoli cambiamenti.
Il traffico non la irritava più come prima.
I problemi le sembravano meno enormi, come se il vetro della sua finestra interiore fosse stato ripulito, lasciandole vedere i colori che prima non notava.
Riusciva finalmente a percepire infinite possibilità di condurre la sua vita. Percepiva maggiore leggerezza e serenità, come se dentro di lei sapesse per certo che tutto sarebbe andato esattamente nel verso giusto.
Un giorno, mentre guardava un tramonto dalla sua camera, pensò:
“Quanto di tutto quello che c’era prima non era nemmeno mio?”
E quasi senza pensarci, aggiunse:
“Cos’altro è possibile che non ho ancora considerato?”
Era come se quelle domande — semplici ma potentissime — le avessero aperto uno spazio nuovo dentro di sé.
Non doveva avere tutte le risposte subito.
Bastava sapere che le possibilità esistevano, anche quando sembrava che non ci fossero.
Giulia cominciò a regalarsi momenti di cura.
Non erano “coccole” superficiali, ma veri e propri incontri con sé stessa.
Ogni volta che tornava da me ed entrava in quella stanza, sul lettino, con quella sensazione di calore e leggerezza, sentiva di ritrovare un pezzo di sé.
Era come aprire una finestra e far entrare aria fresca dopo anni di chiuso.
Oggi, quando cade, sa che può rialzarsi più velocemente.
Quando una paura arriva, la osserva senza farla diventare un mostro.
E quando il mondo sembra distorto, si concede un momento per rimettere a fuoco, perché ha scoperto che la vita, non è fatta per essere guardata da dietro un vetro… ma per essere vissuta a volto scoperto.
E se anche tu senti che il vetro davanti a te si è appannato, c’è sempre una stanza pronta ad accoglierti, mani pronte a ricordare al tuo corpo che può lasciar andare e uno spazio sicuro dove ritrovare respiro e prospettiva.
Chi di voi conosce Haring? Io non ho nessun tipo di conoscenza artistica, ma quando mi hanno parlato di quest’opera e del suo significato, ne sono rimasta affascinata.
Questo simbolo raffigura un neonato a quattro zampe, con linee di energia che si irradiano dal corpo. È un disegno dai tratti semplici, un’opera che se stampata in bianco e nero su un foglio, un bambino può provare a dipingerla e/o colorarla ed è molto facile da riprodurre: tanto semplice quanto carica di significato.
Per Haring era “il simbolo più positivo della vita”, e lo usava anche come firma, mettendolo spesso vicino al suo nome.
Ciò che quest’opera rappresenta è purezza ed innocenza assieme, e quindi l’essenza più pura dell’essere umano; le linee che irradiano attorno al corpo del bambino simboleggiano energia, luce e potere vitale. Per Haring, il bambino era una figura quasi sacra, potente nella sua semplicità.
In un senso più profondo quest’opera rappresenta la rinascita spirituale, il ritorno all’essenza originaria dell’essere, all’importanza dell’infanzia ed al rispetto della vita.
Per questo ho deciso di appenderla nella sala d’attesa del mio studio!!! (Quando verrete a trovarmi potrete ammirarne la bellezza).
Vi starete chiedendo il motivo per cui ho fatto un preambolo così denso e dettagliato di quest’opera … ebbene, volevo portare la vostra attenzione alla cura e all’amore che siamo tanto abituati a dare all’esterno di noi, mentre siamo quasi incapaci di proiettare attenzione, cura rispetto ed amore, in primis, verso noi stessi.
Ci viene insegnato che per stare bene bisogna aiutare il prossimo, ma non ci insegnano che prima di poter nutrire qualcun altro, dobbiamo essere sazi noi.
Un po’ come voler versare un bicchiere d’acqua da una caraffa vuota oppure offrire un pezzo di pane da un cestino vuoto …. Non è ovviamente possibile.
Come si può uscire da questa idea distorta della relazione d’aiuto?
Il concetto è tanto semplice quanto difficile da applicare ma non impossibile: ci vuole solo allenamento. Prima di tutto riconoscere il proprio valore così da riempire la propria brocca o il proprio cestino: spesso, dietro il bisogno di aiutare gli altri e quello di proiettare l’attenzione all’esterno, c’è l’intento di evitare il proprio mondo, non riconoscendo dove si ha necessità di migliorarsi, di evolvere e di fare “pace”. In secondo luogo si ha timore di essere giudicati e disprezzati.
È qui che far emergere il coraggio di “sentire” ciò che si vuole, aprendo gli occhi in modo onesto e sincero verso noi stessi, può dare una svolta importante e significativa nella propria vita.
Il meglio che puoi fare è scegliere di essere completamente TE, smettendo di tenere in piedi e convalidare il punto di vista degli altri su di te.
Quali possibilità puoi scegliere ora per nutrire davvero te stesso/a?
Viviamo in un mondo in cui il concetto di amore è spesso confuso con il bisogno. Si parla di relazioni, ma si pratica il possesso. Si chiama amore ciò che in realtà è dipendenza, paura dell’abbandono, necessità di colmare un vuoto interiore.
In nome dell’amore si trattiene, si controlla, si chiede all’altro di restare anche quando il cuore ha già smesso di danzare. Ma questo non è amore. Questo è ego travestito da sentimento. È il bisogno disperato di conferme, l’incapacità di stare soli, la convinzione che l’altro debba riempire ciò che, in verità, solo noi possiamo colmare.
L’amore vero, quello incondizionato, vola alto. Non si nutre di aspettative, non ha bisogno di catene. L’amore è libertà. È la gioia di condividere il proprio mondo con qualcuno senza pretese, senza paura né vergogna alcuna. È uno spazio sacro in cui ogni parte di te viene accolta e rispettata, e lo stesso vale per l’altro.
“Amare significa donare senza aspettarsi nulla in cambio.”
— Osho
Ma per poter vivere davvero un amore così, serve prima un’intimità profonda con se stessi. Serve la cura. E, la prima persona da amare, da custodire, da ascoltare… sei tu. Solo quando impari ad accogliere te stessə, con le tue fragilità e le tue meraviglie, potrai accogliere l’altræ senza volerne fare un’estensione del tuo bisogno.
L’intelligenza emotiva ci insegna che una relazione sana, nasce quando entrambi i partner sono consapevoli delle proprie emozioni, sanno comunicarle in modo autentico e sanno prendersi la responsabilità del proprio mondo interiore. Non è l’altro a farti felice. Sei tu che scegli la felicità, e l’altro la riflette.
Si ma .. quando questo non avviene o non si è in grado di manifestarlo, come si fa?
Ricevo spesso questo genere di domande nelle mie consulenze e quello che consiglio sempre di fare, è di rimanere in connessione con se stessi in un profondo ascolto, abbassando le barriere lasciando ogni paura fuori dalla stanza. Piangere, ridere, parlare con chi scegli di avere accanto, comunicare ciò che si ha dentro, senza veli, avendo cura di non ferire se stessi e l’altro, è il primo passo verso la libertà, verso il tanto agognato amor proprio ed amore incondizionato.
“Chi sei oggi che non stai riconoscendo? E quanto amore potresti ricevere se ti permettessi di essere davvero te stessə?”
— Access Consciousness
L’amore non è sacrificio, è scelta. È presenza. È dire: “Io sono qui perché lo voglio, non perché devo.” È la capacità di lasciare andare, anche quando l’ego urla di trattenere.
“Ama, ma non diventare una prigione per l’altro. Ama, ma non cominciare a tirare catene. Ama, ma ricorda: l’amore dà libertà.”
— Osho
E se imparassimo ad amare così? Se ogni relazione fosse un incontro di anime libere, che camminano insieme per scelta e non per bisogno?
Forse, allora, sapremmo davvero cosa significa amare.
E per te, cosa significa amare in modo incondizionato? Hai mai vissuto un amore così libero?
Condividi la tua esperienza assieme a me, scrivendomi su whatsapp: posso creare degli articoli su misura con la tua esperienza, cosicché tue parole siano fonte d’ispirazione per chi le leggerà.
Con amore,
Silvia – Coach emozionale e Facilitatrice del Benessere
Quante volte ci ritroviamo intrappolati nei nostri stessi pensieri, in un vortice di elucubrazioni mentali che sembrano non avere fine? Analizziamo, soppesiamo, giudichiamo, fino a perdere il contatto con quello che davvero sta accadendo dentro di noi. E se invece provassimo a fermarci e ad ascoltare profondamente il nostro corpo?
Il corpo ha un linguaggio chiaro e sincero. Ogni tensione, ogni brivido, ogni respiro trattenuto è un messaggio che attende solo di essere colto. Quando una situazione ci mette a disagio, il nostro corpo reagisce prima ancora che la nostra mente razionalizzi l’evento. Spesso, però, siamo così abituati a ignorarlo o a sovrapporre i nostri giudizi e le nostre paure, che finiamo per soffocare quella verità profonda che già conosciamo.
Le elucubrazioni nascono quando cerchiamo di trovare un senso a qualcosa che, in realtà, non ha bisogno di essere spiegato, ma solo riconosciuto. La sincerità verso noi stessi è un atto di grande coraggio: significa smettere di raccontarci storie, di giustificare situazioni che non ci fanno bene, di aderire a punti di vista che non ci appartengono. Significa abbassare le barriere e osservare senza filtri ciò che è.
Quante volte abbiamo costruito delle limitazioni basandoci su idee, credenze o paure che non sono nemmeno nostre? Magari ci è stato detto che dobbiamo essere in un certo modo per essere accettati, che non possiamo fare determinate scelte perché non è “normale”, che non siamo abbastanza. E se invece tutto questo non fosse altro che un’illusione? E se potessimo liberarci da questi confini autoimposti e scoprire che siamo molto più di quello che abbiamo sempre creduto?
Abbassare le barriere non significa essere vulnerabili nel senso di deboli, ma al contrario, significa essere aperti, presenti, in contatto con la propria essenza. È un atto di amore e nutrimento verso noi stessi. Quando smettiamo di nasconderci dietro le nostre elucubrazioni e iniziamo ad ascoltarci profondamente, la vita diventa più leggera, più fluida, più nostra.
Tu chiamale se vuoi… elucubrazioni. Oppure, scegli di ascoltare davvero.
E se fossi molto più potente di quanto hai mai creduto possibile?
E se la tua unicità fosse il tuo più grande dono al mondo?
Cosa vuol dire per te prenderti la responsabilità delle tue azioni?
È importante riconoscere che siamo noi gli artefici delle nostre scelte e che ogni decisione ha delle conseguenze. Ciò è un grande atto d’amore fatto, in primis, verso di noi. Questo atto di consapevolezza non solo ci permette di crescere, ma ci libera dal vittimismo e ci aiuta a sviluppare una maggiore fiducia in noi stessi. Ci aiuta ad allenarci per divenire sempre più integri e consapevoli in ogni istante della nostra vita.
Spesso, ci ritroviamo a prendere decisioni non dettate dal nostro vero sentire, ma da influenze esterne: aspettative familiari, pressioni sociali, paure, credenze limitanti.
Per distinguere tra una scelta autentica e una dettata da fattori esterni, è essenziale imparare ad ascoltare il nostro corpo. Ogni emozione si manifesta a livello somatico: una decisione autentica può portare un senso di espansione e leggerezza, mentre una scelta imposta genera tensione, pesantezza o disagio.
Un aspetto fondamentale della crescita personale è coltivare questa consapevolezza corporea. Quando impariamo a riconoscere i segnali del nostro corpo, possiamo prendere decisioni più allineate con il nostro benessere e il nostro percorso di vita. Questo significa anche accettare che alcune scelte richiedono coraggio e che il cammino autentico potrebbe risultare scomodo, ma senz’altro ci può condurre verso una sempre più presente una crescita reale.
Vi do ora un breve esercizio di Mindfulness per riconnettervi al vostro nucleo.
Esercizio di Mindfulness:
1. Trova un posto tranquillo e siediti comodamente.
2. Chiudi gli occhi e porta l’attenzione al respiro, senza modificarlo. Nota semplicemente il ventre che si alza e si abbassa ad ogni inspirazione e ad ogni espirazione.
3. Porta alla mente una decisione che devi prendere o che hai preso di recente.
4. Osserva cosa accade nel tuo corpo: ci sono tensioni? Senti espansione o chiusura? Il respiro è fluido o bloccato?
5. Rimani in ascolto per qualche minuto, senza giudicare ciò che emerge.
6. Quando ti senti pronto, riapri gli occhi e rifletti su ciò che hai percepito.
Prendersi la responsabilità della propria vita significa anche concedersi il tempo di ascoltarsi profondamente, di regalarsi spazi autentici di riflessione e di stare da soli con il proprio se, staccando la spina dal mondo esterno, imparando a distinguere ciò che è un vero contributo per noi, da ciò che invece ci allontana.
Viviamo in un’epoca che premia il fare. Essere produttivi, raggiungere obiettivi, migliorarsi costantemente: tutto questo ha un valore, ma spesso dimentichiamo il potere profondo dello “stare”.
Stare significa concedersi il permesso di essere presenti, senza la pressione di dover cambiare qualcosa. È un atto di accettazione, un respiro consapevole che ci radica nel momento. Quando stiamo, osserviamo senza giudizio, sentiamo senza voler controllare, esistiamo senza dover dimostrare.
Nello “stare” si nasconde una forza silenziosa. È lo spazio in cui nascono intuizioni profonde, in cui il nostro corpo si rilassa e la nostra mente si apre a nuove prospettive. È nel non fare che spesso troviamo le risposte che cercavamo affannosamente nel movimento.
Pensa all’esperienza di rilassarsi in una sauna. Il calore avvolge il corpo, i pori si aprono per far scorrere fuori le tossine, i muscoli si sciolgono, il respiro rallenta. Qui, nel silenzio, ogni “devo fare” resta fuori. Non c’è nulla da risolvere, nulla da dimostrare. Solo il piacere di essere, di sentire il calore sulla pelle, di ascoltare il battito del proprio cuore. È un momento di pura presenza, di ascolto profondo.
Imparare a stare è un atto di coraggio in un mondo che ci vuole sempre in corsa. È un dono che possiamo fare a noi stessi, per ascoltarci, accoglierci e riscoprire la bellezza della nostra semplice esistenza.
Tempo fa è partito il mio progetto Educarsi per educare, un percorso nato come un vero e proprio laboratorio emozionale genitoriale, atto a creare nuove connessioni interne, cosi da potersi sintonizzare al meglio con il proprio SE interiore facendo crollare uno ad uno tutti i bias cognitivi creati negli anni.
Quante volte vi sarete chiesti ma perché questa cosa non riesco a farla? Perché mio figlio non mi ascolta? Da dove verrà il problema? Dove sbaglio?
In questo nostro e personale spazio dedicato principalmente a voi genitori ed educatori, ci potremmo confrontare su molti aspetti emozionali ed educativi (di adulti e bambini).
Vi darò strumenti pratici e concreti per trovare la giusta direzione da prendere e regalarvi quindi benefici tangibili per proseguire finalmente in armonia nella vita personale e familiare.
Il corso si può frequentare online o in presenza .. a voi la scelta! Scrivetemi un whataspp direttamente da questo sito. Troverete l’icona qui sotto.